siti

mercoledì 26 marzo 2014

Rebecca e il suo Inferno da vivere senza pause


Lo confesso: ho ricevuto un regalo insperato dalla mia amica Federica D’Ascani, autrice italiana conosciuta qualche anno fa in altri Regni e in altre situazioni e che, dopo un periodo di silenzio, ha ripreso in mano la sua voglia di scrivere, ha fatto irruzione nella biblioteca e mi ha consegnato una sua opera all’epoca ancora inedita, alla ricerca di un editore che ci credesse. Un bel privilegio e un onore che denota fiducia.
Per questo ho accantonato l’idea di impugnare Doctor Sleep di Stephen King, mi sono procurato un casco di banane per non rimanere sprovvisto di energie e ho dato il via all’impresa. Che, lo dico subito, è stata più ardua e sofferta di quanto mi aspettassi all’inizio. Il documento word che mi è arrivato via mail non era neanche troppo lungo, pensavo di cavarmela in una settimana al massimo… invece ci ho messo oltre un mese a raggiungere l’ultima pagina, con sofferenza e voglia di mollare tutto a più riprese. Nel frattempo, però, la crisalide è diventata farfalla e ha trovato chi, dopo qualche rifiuto, le ha dato fiducia e l’ha mandata sia in stampa che in digitale. Protagonista di tanta premessa è L’Inferno di Rebecca (Damster Edizioni), che tra l’altro partecipa all'Eroxè Context 2014 per il miglior romanzo erotico e che, in formato ebook, è adesso a disposizione nei maggiori store on line, compreso ITunes.
Per la trama mi affido a chi ne ha già redatto la sinossi: “Rebecca è stata ricoverata in una clinica per malattie mentali. Accusa: tentato omicidio; se colposo lo stabilirà il dottor Porte. Il fatto certo è che la ragazza, per molti versi, è davvero inquietante. Che sia affetta da una sorta di doppia personalità? E la sua vittima, Stefano, potrebbe rivelarsi, invece, un carnefice efferato e privo di sentimenti, se non quelli dettati dalle sue fantasie erotiche più sfrenate? Fino a dove può condurre la violenza, nella sua accezione più generale? Dove termina la paura e inizia la pazzia? Viaggiando nei meandri di un mondo torbido, fatto di sesso, perversioni e venerazioni a dei pagani, Rebecca svelerà i suoi misteri, rivelando quanto di malato può annidarsi nella mente di una persona apparentemente normale. O apparentemente pazza”.
Detto questo, mi permetto di esprimere un mio giudizio, doveroso visto il trattamento di favore che mi è stato riservato in questa occasione. Conoscevo Federica come autrice horror con una spiccata propensione verso il diavolo e il satanico, come testimoniato dalla sua prima opera, Dacon, di cui ho parlato qui. Il tema si ritrova, come anche certi nomi della sua precedente fatica che danno un’impressione di collegamento tra le due storie che probabilmente non c’è, ma che aleggia in sottofondo. E’ con queste attese che ho intrapreso la lettura, e mi sono immediatamente sentito spiazzato perché non ho trovato niente di conosciuto per oltre tre quarti della narrazione. La violenza e il sesso sfrenato erano presenti anche in Dacon, ma qui sono un vero tsunami, piovono da ogni parte in maniera prepotente, come una scarica di pugni da cui è difficile difendersi perché colpiscono ovunque. Il campionario è completo: prevaricazione, stupro, sodomia, omosessualità a pagamento, incesto, e poi a fare da contraltare anche l’amore con sentimenti veri e puri. A volte le descrizioni sono così crude che fanno venire il nodo allo stomaco e il ronzio in testa, tanto che la mia resistenza da bibliotecario orango è crollata e ho dovuto abbandonare, con l’intenzione di non ripartire. Ma poi la curiosità di scoprire come va a finire è stata più forte, e sono tornato alle pagine che mi attendevano. Non mi dilungherò sulla trama, ma sulle sensazioni che l’Inferno scatena. Certe situazioni sono tratteggiate in maniera così precisa e dettagliata che viene il sospetto che possano essere frutto di esperienza diretta dell’autrice, che ne sa troppo per poterlo aver solo immaginato. Chi la conosce almeno un po’ dal punto di vista personale (come nel mio caso) non arriva a pensare che ci sia passata personalmente, ma l’idea preponderante è che ci sia qualcuno nella sua cerchia che ha sperimentato certe aberrazioni sulla propria pelle e che Federica ne abbia assorbito ogni stilla di esperienza per poi trasferirla nel libro. Ti aspetti l’opera horror, ti trovi un sabbah infernale di sessualità malata, di cattiveria, di inclinazioni che dovrebbero essere messe al bando. Nel finale, si torna ai noti lidi demoniaci, ed è quasi un sollievo, anche se le battute conclusive, che ribaltano molto di quello che si è letto fino a quel momento, stridono con l’atmosfera e, con l’introduzione di subdole divinità pagane, forniscono perfino brandelli di giustificazione a chi ha compiuto le peggiori porcherie e si è guadagnato il disprezzo del lettore riga dopo riga. La chiusura è il vero punto debole, suona un po’ affrettata e sembra messa lì perché il diavolo e la sua corte dovevano balzare sul palcoscenico a tutti i costi. E’ vero che non se ne poteva fare a meno, perché c’erano dei fili da tirare, annodare e tagliare prima della parola “fine”, ma sinceramente il tutto poteva accadere in maniera meno roboante, carnevalesca e, soprattutto, irreale. E’ una baracconata da circo al termine di un percorso tremendamente e tristemente veritiero, visto che è tema attuale e non marziano l’esistenza della prevaricazione sessuale come arma di potere che può spezzare vite, famiglie ed equilibri della psiche.
In definitiva: per le forti sensazioni che procura e per i brividi,  L’Inferno di Rebecca deve essere letto. A tutti i costi. Perché la violenza sulle donne esiste, e non di rado sfocia nella morte intellettuale o, peggio ancora, fisica della vittima. "Femminicidio" è un termine tristemente entrato nell'uso comune, ormai. Allora inutile nascondersi sotto la coperta, meglio addentrarsi nel labirinto insieme a chi ha avuto il coraggio di occuparsene, anche se lo ha fatto con parole e situazioni che sembrano rasoiate. Ma l’equipaggiamento per la scalata è scarno quanto fondamentale: servono stomaco forte e la voglia incrollabile di finirlo tutto d’un fiato, meglio se in un giorno solo (o una notte, a seconda dei gusti). Perché se si cede alla tentazione di abbandonare il vortice per recuperare energie, potrebbe poi mancare il coraggio di riallacciare.

giovedì 13 marzo 2014

Il figlio del cimitero, ovvero il libro della jungla tra le tombe

Ho letto quasi per scommessa Il figlio del cimitero di Neil Gaiman per "disintossicarmi" dalle tensioni di un'opera di cui prometto di parlare a breve, appena avrò tempo di scrivere esattamente quello che ho provato sfogliandola. Di questo autore avevo già letto Coraline, e sinceramente come come libro l'avevo trovato un po' sopravvalutato, ma quando un amico mi ha messo in mano questo Oscar Mondadori, mi sono tuffato nell'impresa e l'ho divorato in un giorno. Che dire? Un po' Tim Burton e un po' Libro della jungla, l'ho adorato.
A grandi linee, è una storia di fantasmi, di misteri, di viaggi ultraterreni, di magia, con un spruzzo di horror e molta poesia spalmata a schiaffi e a crudo. Bod Owens è l'unico sopravvissuto al massacro della sua famiglia e vive in un cimitero, allevato dagli spiriti di chi non c'è più. Con il passare delle stagioni, però, lo spazio chiuso dai recinti e fatto di lapidi e tombe diventa stretto, così cresce il desiderio di andare a conoscere il mondo reale, a costo di rischiare la vita, visto che il killer che gli ha cambiato il corso dell'esistenza è ancora in giro e lo sta cercando. Sui fili di questo canovaccio, si inseriscono avventure straordinarie, da vivere con il batticuore o con un fazzoletto a portata di mano. Il viaggio del protagonista dalla fanciullezza all'adolescenza procede grazie a compagni indimenticabili (uno su tutti: Silas. Per conoscerlo non resta che leggere il libro, non c'è da pentirsene), ma anche attraverso lo sviluppo di abilità negate ai comuni mortali, come la dissolvenza. E' così che il nostro eroe arriverà al giorno in cui potrà affrontare il suo eterno nemico.
Alla fine dell'ultima riga resta un senso di frustrazione e di incompiuto che quasi toglie il fiato. Manca ancora tanto da spiegare, da sviscerare, da chiarire. E poi l' "espulsione" di Bod verso il "fuori" è troppo improvvisa, violenta, per certi versi imprevista. C'è la voglia di leggere altre 100 pagine, e magari non basterebbero. Gaiman è maledettamente dark e coinvolgente, tanto che per Il figlio del cimitero è riduttivo parlare di favola per bambini. Lo consiglio senz'altro, è un viaggio nelle tenebre da fare.