Mi sono fatto un giro nel Luna Park di Joyland ma non ho visto il
fantasma. Reduce dalla meravigliosa esperienza con 22/11/'63 che mi ha
"riconciliato" con Stephen King (se ne parla qui), mi sono tuffato nell'ultima fatica
italiana del Re (in attesa di Doctor Sleep che già mi ingolosisce. Leggere qui per credere...)
carico di aspettative. Non sono rimasto deluso, ma neanche del tutto
appagato. Il libro è uscito inizialmente descritto come un giallo di
quelli che piacciono agli americani, poi improvvisamente il battage
pubblicitario ha deviato verso una mezza ghost story con lotta tra Bene e
Male all'interno del parco divertimenti. Pane per i denti
dell'appassionato del King più vero, quello che dell'horror ha saputo
fare poesia. Chi si avvicina alle giostre aspettandosi questo, però,
vedrà disattese le proprie speranze.
Joyland (già trattato qui), a mio modestissimo parere, appartiene più al genere del
percorso di crescita di un individuo attraverso fatti traumatici, quello
di cui la massima espressione è il racconto Il corpo (da cui è tratto
il film Stand by me, che consiglio di vedere a quei pochissimi che se lo
sono lasciato sfuggire), ma che si può ritrovare, per esempio, anche in
It e in varie altre opere. Qui si narrano le dolorose ferite che
rimangono dopo la fine del primo grande amore, che possono essere lenite
(si badi bene, non curate) attraverso l'amicizia, un lavoro svolto con
passione e l'incontro con una nuova persona in grado di far battere il
cuore. Sullo sfondo, oltre all'estate del 1973 che è quella dei 21 anni
del protagonista, c'è la vita che sta dietro a un parco dei
divertimenti, il cameratismo, i soprusi di chi si ritiene superiore, una
galleria di personaggi poetici, rudi, indimenticabili e... il giallo da
risolvere, quello dell'uccisione di una ragazza nel tunnel degli
orrori. Il fantasma sarebbe rimasto all'interno dell'attrazione, secondo
le dicerie, ma non tutti riescono a vederlo. Qualcuno sì, ovviamente...
Questa, che vox populi dovrebbe essere la vicenda dominante che rende
il libro veramente "kinghiano", in realtà rimane in sottofondo, è quasi
secondaria. Ogni tanto si scopre che vengono condotte indagini e che
vengono scoperti legami con altri crimini analoghi, ma in vetrina
restano sempre i dolori del narratore e il calore che piano piano si
accende per un nuovo amore. Poi, improvvisamente, l'autore si ricorda
dell'altro filone, quello thrilling, e lo risolve nel finale, quasi di
corsa. Si ha come l'impressione che il Re, assorto dal passaggio della
sua creatura dalla vita universitaria un po' ovattata alla crudezza e
alle ingiustizie della realtà, si sia scordato di aver voluto anche
metterci un po' di brividi e così li rovescia dentro tutti insieme,
aiutandosi anche con l'apparizione di un altro fantasma che, per come si
è messa la vicenda fino a quel momento, stona un po'. Una disattenzione
strana per uno come King, sempre scrupoloso e maniacale nel tenere in
tensione anche due o più fili narrativi, ma Joyland è comunque un libro
da leggere, perché coinvolgente. Basta avvicinarsi con la mente sgombra e
senza aspettarsi balzi sulla sedia e notti insonni.
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