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giovedì 28 novembre 2013

Un giro a Joyland senza vedere il fantasma

Mi sono fatto un giro nel Luna Park di Joyland ma non ho visto il fantasma. Reduce dalla meravigliosa esperienza con 22/11/'63 che mi ha "riconciliato" con Stephen King (se ne parla qui), mi sono tuffato nell'ultima fatica italiana del Re (in attesa di Doctor Sleep che già mi ingolosisce. Leggere qui per credere...) carico di aspettative. Non sono rimasto deluso, ma neanche del tutto appagato. Il libro è uscito inizialmente descritto come un giallo di quelli che piacciono agli americani, poi improvvisamente il battage pubblicitario ha deviato verso una mezza ghost story con lotta tra Bene e Male all'interno del parco divertimenti. Pane per i denti dell'appassionato del King più vero, quello che dell'horror ha saputo fare poesia. Chi si avvicina alle giostre aspettandosi questo, però, vedrà disattese le proprie speranze.
Joyland (già trattato qui), a mio modestissimo parere, appartiene più al genere del percorso di crescita di un individuo attraverso fatti traumatici, quello di cui la massima espressione è il racconto Il corpo (da cui è tratto il film Stand by me, che consiglio di vedere a quei pochissimi che se lo sono lasciato sfuggire), ma che si può ritrovare, per esempio, anche in It e in varie altre opere. Qui si narrano le dolorose ferite che rimangono dopo la fine del primo grande amore, che possono essere lenite (si badi bene, non curate) attraverso l'amicizia, un lavoro svolto con passione e l'incontro con una nuova persona in grado di far battere il cuore. Sullo sfondo, oltre all'estate del 1973 che è quella dei 21 anni del protagonista, c'è la vita che sta dietro a un parco dei divertimenti, il cameratismo, i soprusi di chi si ritiene superiore, una galleria di personaggi poetici, rudi, indimenticabili e... il giallo da risolvere, quello dell'uccisione di una ragazza nel tunnel degli orrori. Il fantasma sarebbe rimasto all'interno dell'attrazione, secondo le dicerie, ma non tutti riescono a vederlo. Qualcuno sì, ovviamente... Questa, che vox populi dovrebbe essere la vicenda dominante che rende il libro veramente "kinghiano", in realtà rimane in sottofondo, è quasi secondaria. Ogni tanto si scopre che vengono condotte indagini e che vengono scoperti legami con altri crimini analoghi, ma in vetrina restano sempre i dolori del narratore e il calore che piano piano si accende per un nuovo amore. Poi, improvvisamente, l'autore si ricorda dell'altro filone, quello thrilling, e lo risolve nel finale, quasi di corsa. Si ha come l'impressione che il Re, assorto dal passaggio della sua creatura dalla vita universitaria un po' ovattata alla crudezza e alle ingiustizie della realtà, si sia scordato di aver voluto anche metterci un po' di brividi e così li rovescia dentro tutti insieme, aiutandosi anche con l'apparizione di un altro fantasma che, per come si è messa la vicenda fino a quel momento, stona un po'. Una disattenzione strana per uno come King, sempre scrupoloso e maniacale nel tenere in tensione anche due o più fili narrativi, ma Joyland è comunque un libro da leggere, perché coinvolgente. Basta avvicinarsi con la mente sgombra e senza aspettarsi balzi sulla sedia e notti insonni.

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