Oggi è il Giorno della memoria. Impossibile non farsi toccare nell’intimo da una ricorrenza che serve per non dimenticare e non ripetere certe atrocità. Il viaggio ad Aushwitz manca nel curriculum dello scrivente. Quello a Dachau, però, no. Non so se i due campi di concentramento siano paragonabili, ma quello che si vede in Germania, dal cancello che recita “Arbeit macht frei” alle camerate fino alle famigerate docce e ai forni crematori, lascia un segno profondo.
Quasi obbligatorio un giro nella letteratura dedicata agli orrori nazisti, andando a memoria e con la consapevolezza di dimenticare tonnellate di libri sull’argomento.
Primo passo, inevitabilmente, con Se questo è un uomo di Primo Levi (Einaudi). Testimonianza sconvolgente sull'inferno dei lager, libro della dignità e dell'abiezione dell'uomo di fronte allo sterminio di massa, è un classico. Vi si trova un'analisi fondamentale della composizione e della storia del campo di concentramento, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio.
Un altro classico è Il diario di Anne Frank, ma qui voglio segnalare invece Sopravvissuta a Auschwitz di Eva Schloss (Newton Compton), ovvero la testimonianza di una ragazza profondamente legata alla stessa Anne. Nel giorno del suo quindicesimo compleanno, Eva viene arrestata dai nazisti ad Amsterdam e deportata ad Auschwitz. La sua sopravvivenza dipende solo dal caso, e in parte dalla ferrea determinazione della madre Fritzi, che lotterà con tutte le sue forze per salvare la figlia. Quando finalmente il campo di concentramento viene liberato dall’Armata Rossa, Eva inizia il lungo cammino per tornare a casa insieme alla madre, e intraprende anche la disperata ricerca del padre e del fratello, entrambi morti. Ad Amsterdam, Eva aveva lasciato i suoi amici, fra cui Anne Frank. Nel 1953 Fritzi, ormai vedova, sposerà Otto Frank, il padre di Anne. La testimonianza di Eva (scritta in collaborazione con Karen Bartlett) è dunque doppiamente sbalorditiva: per la sua esperienza personale di sopravvissuta all’Olocausto e per lo straordinario intreccio del destino, che l’ha unita indissolubilmente a quella ragazzina conosciuta molti anni prima.
A proposito di testimonianze scritte, ecco Il diario di Helga di Helga Weiss (Einaudi), appena uscito e già un caso letterario. E’ il diario redatto dall’autrice quando era una bambina obbligata a portare come spilla una stella gialla, che nel 1938 a Praga non dorme per i bombardamenti e sente continuamente parlare di "trasporti" di famiglie, amici, compagni di scuola. Finché tocca a lei e ai suoi genitori lasciare la casa in cui è cresciuta per Terezin, poi Auschwitz-Birkenau, Freiberg e Mathausen. Per resistere scrive su quaderni rimasti per anni "quasi dimenticati in fondo a un cassetto" come racconta lei stessa, e disegna quello che vede e vive. Superati gli ottant'anni e diventata un'affermata pittrice, ha deciso finalmente di pubblicare. Negli anni è tornata più volte su quelle pagine ma non ha voluto toccare la spontaneità delle impressioni di allora, che raccontano la forza e la lucidità di una bambina capace di trovare le parole per trasformare la memoria in storia.
Vicenda analoga per Il mio diario segreto dell'Olocausto di N. Bannister (Newton Compton). Per quasi cinquant’anni un terribile segreto è rimasto nascosto dentro un baule nella soffitta di una casa del Tennessee: foto, documenti, pagine di diario. E’ il racconto, drammatico e insieme commovente, dell’Orrore visto attraverso gli occhi di una ragazzina che ha sperimentato sulla propria pelle la prigionia, la morte dei propri cari, l’agognata liberazione, e che ha chiuso dentro al suo cuore questa tragica esperienza, senza farne parola con nessuno per molto tempo. Perfino l’uomo che ha sposato ha ignorato per decenni la verità. Fino al giorno in cui, ormai anziana, la Bannister ha finalmente deciso che il mondo doveva conoscere la sua storia. Una testimonianza unica, una voce vera e diretta, una storia di dolore, perdono, amore, perdita e speranza.
Sempre per i tipi della Newton Compton è uscito L'ultimo sopravvissuto di Sam Pivnik, figlio di un sarto ebreo, che nasce a Bedzin in Polonia e trascorre una vita normale fino al primo settembre del 1939, giorno del suo tredicesimo compleanno, quando i nazisti invadono la sua patria e la guerra spazza via in un attimo ogni possibilità di futuro. Da quel momento la sua vita non sarà più la stessa. Sam conosce il ghetto, i divieti imposti dai nazisti, il coprifuoco, gli stenti, il terrore per le strade. Poi, dopo un rastrellamento, tutta la sua famiglia viene deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Strappato alla sua famiglia, che trova la morte nelle camere a gas, Sam subisce terribili soprusi e atrocità, e ogni giorno, alla famigerata Rampa di arrivo dei treni dei deportati, vede compiersi sotto i suoi occhi la più inenarrabile delle tragedie. Sopravvissuto alla crudeltà delle Ss e dei Kapo, ai lavori forzati nella miniera Fürstengrube e alla “marcia della morte” nel rigido inverno polacco, Sam è infine tra i prigionieri sulla nave Cap Arcona, bombardata dalla Royal Air Force perché luogo di esperimenti dei nazisti su donne e bambini da parte delle Ss. Ma ancora una volta, miracolosamente, riesce a salvarsi. Questo libro racchiude una testimonianza unica al mondo: la storia di un uomo che ha attraversato tutti i gironi dell’inferno nazista, ed è sopravvissuto per portare ai posteri la sua testimonianza.
Più poetico, ma non meno drammatico, è Il Bambino con il pigiama a righe dell’autore dublinese John Boyne (Rizzoli). Bruno è un bambino di nove anni, figlio di un comandante delle Ss, completamente all’oscuro della realtà della guerra e di quanto avviene nella Germania nazista. Un giorno incontra un bambino ebreo, Shmuel, chiuso in un luogo circondato da un recinto. Nonostante ci sia una rete a dividerli, giorno dopo giorno tra i due cresce un’amicizia segreta così forte che li porterà a condividere un uguale destino nelle “docce”.
Tornando alle storie vere, decisamente particolare è ciò che viene narrato in Ero il numero 220543 di Denis Avey (Newton Compton). Nel 1944 a Denis Avey, un prigioniero di guerra inglese che durante il giorno è costretto ai lavori forzati insieme ai detenuti ebrei, basta poco per capire quale sia l’orrore che attende quegli uomini, consunti e stravolti, quando la sera fanno rientro al campo. Di Auschwitz. Quello che intuisce è atroce, ma sente di voler vedere con i propri occhi e così, in un gesto che pare folle, decide di scambiare la sua divisa da militare con gli stracci a righe di un ebreo di nome Hans, ed entrare nell’inferno. Da quel momento ha inizio la sua lotta per salvare la propria vita e quella di tanti altri prigionieri ebrei. Una storia scioccante e commovente che, a più di sessant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il protagonista ha trovato la forza di raccontare.
Infine, per concludere degnamente questo breve viaggio (mi scuso ancora per tutte le opere che non ho incluso…), lanciamo uno sguardo anche al “dopo”. Ci pensa Il comandante di Auschwitz di Thomas Harding (Newton Compton). Alla fine della seconda guerra mondiale viene creato un pool investigativo per scovare e assicurare alla giustizia internazionale i gerarchi nazisti responsabili delle atrocità dell'Olocausto. Uno dei migliori investigatori del gruppo è Hanns Alexander, ebreo tedesco rifugiatosi in Gran Bretagna per sfuggire alle persecuzioni delle Ss, e in seguito arruolatosi nell’esercito inglese. Il suo nemico numero uno si chiama Rudolph Höss, il terribile comandante di Auschwitz, responsabile del massacro di oltre un milione di persone e freddo esecutore della “soluzione finale” voluta da Hitler. Ma Höss, che dopo la guerra vive sotto falsa identità, è una preda difficile da stanare, e Hanns dovrà giocare d’astuzia e agire con determinazione per riuscire a catturarlo e arrivare così alla resa dei conti finale. Questo volume è stato scritto dal pronipote di Alexander, ignaro dell’avventuroso passato del prozio fino al giorno del suo funerale, nel 2006.
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